Sono le quattro del mattino di questo strano e freddo 24 marzo 2007. E’ ritornato il freddo: la temperatura è vicina allo zero. Gli alberi si sono fatti sorprendere in fiore. Non riesco a dormire, come mi capita oramai con una certa frequenza, la notte, ultimamente. I pensieri si accavallano, e i ricordi delle persone, i passati rapporti con loro e le occasioni perse per conoscerle di più, il senso di vuoto per la loro mancanza, mi sorprendono. Sto sicuramente invecchiando! Non essendo più assillato dal lavoro e dai connessi problemi di “sopravvivenza giornaliera”, scopro, che senza volerlo devo fare i conti, quasi tutti i giorni, o meglio ogni notte, con il tempo passato, di cosa sarebbe stato giusto fare, di cosa realmente conta nella vita. Per me certamente non lo è stata la carriera, incompatibile con il mio carattere un po’ solitario e a volte impulsivo. Mi sorprendo a pensare che mi manchi caro Franco! In fondo ti ho frequentato così poco! Mi manca quella tua correttezza quasi pignola. Quel tuo saper ascoltare gli altri senza la catena delle idee precostituite. Il saper vedere sul terreno la realtà! Trarne le conseguenze e ridisegnare nuovi scenari geologici.
Ti ho sempre ritenuto un esempio raro tra i geologi e tra gli universitari, in genere condizionati da modellistiche “altolocate" ma capaci di rendere cieco il più banale buon senso. Non facevi pesare la tua bravura! L’umiltà era la tua bandiera. Come vorrei oggi poter scambiare le mie idee con le tue, su quell’ assurdo, esagerato, incomprensibile ai più, amore per la geologia delle nostre montagne.
Non ricordo bene come ti conobbi in quegli anni ottanta, mi ricordo però che mi chiedesti delle foto con le cime incombenti il lago di Scais; seguivi in quel momento il tema dei sollevamenti più recenti delle Orobie, le faglie “viventi, la “neotettonica”; termini difficili ,se non incomprensibili per i non addetti ai lavori. Andammo insieme su Pizzo Meriggio, una cima delle Orobie valtellinesi, in una giornata di sole. Sul crinale si vedevano lunghi solchi longitudinali marcati da conche e piccoli laghetti. Erano l’eredità di quella “famosa” frattura della crosta terrestre che i geologi chiamano “Linea del Porcile”. Mi dicevi: “vedi, le riattivazioni recenti hanno spostato le coperture glaciali, la faglia si muove ancora!…. e tu invece cosa hai visto di questi fenomeni nell’area della miniera di Val Vedello?”. Gli dissi che della “Linea delle Orobie” segnata sulle carte geologiche ufficiali non se ne vedeva neppure l’ombra (1) ! Che la cartografia geologica ufficiale era ferma a quella rilevata dai geologi olandesi nel 1930. Che le cose, in parte, non stavano proprio come le avevano viste loro!
Franco era un uomo minuto, sempre indaffarato, con un gran ciuffo di capelli e piccoli baffetti neri, uno sguardo acuto e penetrante. Era professore all’Università degli Studi a Milano Bicocca e titolare della cattedra di “Rilevamento Geologico”; un ramo della Geologia importante e non facile. Rilevare carte geologiche sembra facile e scontato ma non è proprio così.
Franco muore a soli cinquantacinque anni in un’incredibile incidente, nella tarda mattina del quattro aprile 2003, sulle pendici dell’ Albenza - un contrafforte calcareo che domina la pianura bergamasca - durante una lezione di geologia sul terreno, schiacciato da un masso, sotto gli occhi dei suoi studenti.
Ciao Franco!
Dalmine (Bg)- Maggio 2007 Camillo Pessina, geologo
(1) Nel lavoro, “Carta Geologica della Provincia di Bergamo” e precisamente nel settore settentrionale dello “Schema strutturale” che interessa anche una parte della Valtellina, F. Forcella ripropone quanto visto insieme sul terreno.