Uranio sulle Orobie - La storia dell’uranio di val Vedello e dintorni

di Camillo Mario Pessina

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Berardino Taddei: un abruzzese in Valtellina

"Memories are made of this"

Taddei Berardino, di origine abruzzese, nasce a Poggio Picenze (Aq), paese dei suoi avi, nel febbraio del 1923. Con i suoi capelli pettinati all’Umberta, gli occhi azzurri, il suo accento dialettale e il suo carattere semplice dal profilo discreto, senza arroganze, unitamente alla sua benevolenza dell’umore, mettevano subito a proprio agio chi lo conosceva.

Berardino Taddei a GromoNei fatti personali era però riservato e chiedergli qualcosa - anche per scherzo- era difficile. Una volta, in vena di confidenze, mi confessò che si sarebbe messo in lista per le elezioni comunali di Poggio Picenze. Istintivamente, quasi senza pensarci, gli chiesi per quale partito avrebbe corso. Mi rispose: “Pessina si faccia i c…. suoi”.

Come ho già detto, Taddei era nativo di Poggio Picenze, un borgo posto sui versanti occidentali del massiccio calcareo del Gran Sasso. La terra sassosa e arida aveva costretto tanti suoi figli, noti per la loro religiosità, la loro povertà e la loro capacità di sacrificio, a continue emigrazioni. Gli stessi genitori di Berardino erano emigrati negli Stati Uniti. Come tanti altri abruzzesi, infine, non resistettero al richiamo della loro terra. Ritornarono facendo parte di quei “migranti di ritorno” che ebbero un ruolo molto importante nel miglioramento del quadro sociale ed economico abruzzese.

Taddei si era laureato in scienze geologiche all’Università degli Studi di Padova nel 1955-56 con uno ”Studio geologico – petrografico sull’Altipiano di Tonezza e sul Gruppo montuoso Toraro - Seluggio fra il Posina e l’Astico” con relatori del calibro di Giambattista Dal Piaz e Hieke Merlin, Oplinia.

Entrò nell’Agip nucleare del gruppo Eni nel 1956 insieme al conte Manuel dr. Dagnolo e al dr. Baldazzi (compaesano di E. Cefis). Inizia un ”peregrinare” professionale  per il mondo, svolgendo le sue mansioni di geologo in Brasile, Perù, Argentina e in Arabia Saudita.

Faceva parte di quel gruppo di geologi-naturalisti, figure di transizione al più moderno geologo, più applicativo, più tecnico, meno naturalista. Una generazione di geologi sottoposta allo strapotere degli ingegneri minerari di allora, usi a considerare i geologi, “paria della casta mineraria”. Il geologo entrava in galleria buon ultimo, dopo il perito minerario.

Taddei non era uso osannare alcuno. Era schietto nelle sue espressioni ma cercava, dopo anni di azienda, di mediare sempre e comunque. Nella sua terminologia professionale compariva a volte lo “sfrucuglio” ma l’umanità era il suo forte! Un buon senso da contadino abruzzese gli dava parecchi punti di vantaggio sui più “sofisticati” colleghi cui la modellistica geologica li portava a compiere errori grossolani. Taddei non era uomo di congressi, di pubblicazioni o di astruse terminologie, come quelle sciorinate da qualche “padreterno”, giusto per confondere e far colpo. Diffidava dei supergeologi dalla lingua particolarmente sviluppata ma, che, alla fine, scambiavano le miloniti per mud-flow.

Durante le campagne geologiche condotte negli anni sessanta per conto dell’Agip Nucleare, in val Brembana, aveva conosciuto e sposato "Tina", una giovane maestra di San Pellegrino Terme(Bg), dalla quale, nel 1962, ebbe una bimba dagli occhi azzurri, Anna Maria, che gli somigliava moltissimo.

Taddei aveva subito alcune delle “scioccanti” chiusure delle attività di ricerca dei minerali di uranio a causa di una politica “ballerina”, assai poco seria, tutta italiana nello spreco di capitali e di risorse umane. Taddei arrivò a Novazza, come geologo di  miniera, nel febbraio del 1969 ma ci stette poco, perché nel 1973, l’attività di ricerca fu di nuovo sospesa, dopo l’interruzione del 1963 - 1969.

In seguito alla guerra arabo-israeliana del Kippur e la conseguente crisi energetica, riparte il terzo ed ultimo ciclo delle ricerche uranifere da parte di Eni.

Nel 1974 si aprirono gli uffici Agip di Gromo, in val Seriana. Taddei faceva il “capobranco-istruttore” a noi, giovani geologi appena assunti. Ci accompagnò in escursioni geologico- addestrative alla miniera di Novazza e poi in val Brembana e subito dopo negli Stati Uniti. La sede dell’Agip Mining Co (Uranium exploration projects - western U. S) si trovava a Denver in Colorado, gestita da un suo “ vecchio collega” , Baldazzi.

Una caratteristica di Taddei - antico retaggio – era quella di impedire ai  pivelli neoassunti l’uso della bibliografia e delle carte geologiche per paura di copiature e preconcetti. Tesi ereditata dal vecchio mondo minerario italiano e non necessariamente sempre vera. Pretendeva inoltre che i neoassunti, quando uscivano a rilevare carte geologiche, raccogliessero diversi chili di roccia “fresca”, suscitando le ire di qualche giovane geologo. Era sempre nel dubbio che i giovani geologi facessero veramente, rilevando la carta geologica, diversi chilometri al giorno, invece di ficcarsi di nascosto in qualche comodo bar.

Con lui mi capitava di discutere di alcune criticabili scelte - pilotate dall’alto - a cui invariabilmente - novello Virgilio -  rispondeva: “vuolsi così dove si puote ciò che si vuole, (e più non dimandare)”. Era conscio di come le idee preconcette potessero portare a errori interpretativi. Famoso rimase lo “scherzo” - che gli diede ragione - fatto a una giovane petrografa, troppo sicura delle sue analisi al microscopio, scambiandole i cartellini dei campioni di roccia vulcanica.

A volte era colto da (in)spiegabili “soprassalti aziendali” e pretendeva, in albergo, di far dormire insieme i neoassunti,  suscitando le ire di qualche collaboratore che, almeno in quei frangenti, era per la privacy. Alle annuali “feste di santa Barbara” non disdegnava le tradizioni  tutte geologiche e goliardiche delle enofeste. Era disponibile e alla mano. Mi ricordo di un assessore del comune di Piateda, il geometra Marchesini, il quale frequentemente lo appellava ad  alta voce: “duca, duca…(degli Abruzzi)”, dal basso nella piazza, affinché lui si affacciasse dal balcone dei nostri uffici. Senza mai risentirsi. Per don Enrico Sassella, parroco di Piateda era sempre disponibile come sempre lo era con il rifugio Mambretti e con i malgari di Caronno e Vedello.

Anche lui - come molti di noi - fumava parecchio, cosicché, talvolta, quasi intossicato, era colto da irrefrenabili attacchi di tosse a cui seguiva un: “fuma sciocco, fuma…”.

Taddei arrivò in Valtellina verso la fine del 1976. L’anno successivo sarebbero iniziati i lavori minerari in val Vedello. Stabilì un grande ufficio geologico in quei di Piateda. Tra i suoi innumerevoli compiti - oltre a gestire il personale Agip, insieme al dr. M. Dagnolo teneva assemblee e riunioni - con la gente del luogo, le autorità, le forze politiche e sindacali locali - tentando di spiegare l’importanza delle ricerche minerarie in val Vedello.

Opera sfiancante e compito non facile. Trattò per anni con il sindaco di Piateda, Micheletti, con i presidenti della Comunità Montana di Valtellina (G. Spini, M. Garbellini, F. Benetti) per ottenere le autorizzazioni al proseguimento dell’esplorazione mineraria. Lasciò a me invece la responsabilità dell’intero progetto di ricerca mineraria in sottosuolo. Entrambi dormivamo nell’albergo Posta, in piazza Garibaldi a Sondrio. Dopo cena eravamo usi fare lunghe chiacchierate. La mattina dell’undici ottobre 1982, un lunedì, lo vidi arrivare alla reception dell’albergo Posta con un angolo della bocca, storto. Di notte aveva avuto un leggero ictus e non se n’era accorto. Fu per lui l’inizio della fine. Operato nell’ ospedale di Lecco per la stenosi carotidea che gli causava un’ insufficienza cerebrovascolare rimase in malattia fino al settembre 1983. Non si riprese mai completamente e finì per andare in pensione il 16 di settembre dello stesso mese.

Si ritirò a Poggio Picenze in provincia dell’Aquila dove, da anni,  sognava di lavorare la sua terra. Nel 1986 venne a trovarmi casa, a Bergamo, invitandomi in Abruzzo. La progressiva chiusura delle attività uranifere a partire dalla metà del 1983, il continuo stillicidio di personale rimosso da Piateda e il mio finale “riciclaggio” al petrolio nel 1987, furono un’esperienza totalizzante e traumatizzante. Non mi lasciò respiro e non mi permise mai di rivederlo.

Berardino, ci ha lasciati nel marzo del 1995, improvvisamente, in seguito ad una crisi cardiaca. Riposa nel cimitero di Poggio Picenze. Ancora oggi mi duole non averlo più rivisto. Ciao Dino!


Pessina Camillo Mario (geologo)                                                                      Dalmine (Bergamo) - Maggio 2011

 

Addendum

Premessa

In modo del tutto casuale la famiglia Taddei ha potuto leggere nell’agosto 2011 la mia memoria su Berardino. La figlia Anna Maria e la moglie Tina, molto gentilmente, mi hanno convinto a mantenere fede alla promessa fatta a “Dino” tanti anni fa. Il 13 di settembre ho avuto il piacere di recarmi a Poggio Picenze. Berardino, riposa insieme ai suoi avi nel cimitero di Poggio, addossato alla chiesa parrocchiale di San Felice Martire.

L’accoglienza ricevuta da parte della famiglia Taddei e la benevolenza della gente del posto mi ha spinto a scrivere questa ulteriore memoria, immaginandola scritta dal geologo Berardino per i suoi compaesani e per chi fosse interessato a sapere qualcosa di più sulle caratteristiche geologiche della terra picentina. Un qualcosa - trattandosi anche di geologia con i suoi termini un po’ astrusi - che possa essere compreso da  tutti e non solo dagli addetti ai lavori.

 

Formazione dei rilievi montuosi appenninici

La geologia ci insegna che la catena appenninica si è formata in due stadi successivi. Il primo caratterizzato dalla collisione di una preesistente piccola placca continentale (Adria) con il blocco sardo-corso che, staccatosi dal continente europeo (dalle attuali Provenza e Catalogna) nell’Oligocene superiore (28-30 milioni di anni fa) si era, progressivamente spostato verso sudest (3). Circa 16-18 milioni di anni fa nel Miocene inferiore, la Corsica e la Sardegna raggiungevano la loro attuale posizione (3). Il secondo stadio, iniziato circa 8 milioni di anni fa, nel Miocene superiore, con l’apertura del mar Tirreno determinato alla deriva verso E della penisola italiana, proseguiva con il corrugamento del tratto di crosta situata sul bordo occidentale di Adria. Queste crisi orogenetiche sono tuttora in atto come dimostrano i frequenti terremoti che in epoca storica hanno interessato gli abitati distribuiti sui versanti del massiccio. In Abruzzo la catena del Gran Sasso si è sviluppata essenzialmente nel Neogene. Dal Miocene superiore-Pleistocene inferiore (1).

 

Brevi note geologiche sull’area di Poggio Picenze e sulla sua “Pietra gentile”.

Poggio Picenze è geologicamente ubicata nell’area abruzzese dell’Appennino centro-meridionale. Distante 14 Km dall’Aquila, è un piccolo paese di poco più di 1000 abitanti(5) posto a 760 metri di altezza, ai piedi del complesso montuoso del Gran Sasso, i cui immani bastioni montuosi dominano l'Adriatico. Il Gran Sasso d'Italia con i suoi  aspri caratteri dolomitici, i forti dislivelli di quasi 2000 metri sulle dolci colline marnose e argillose del subappennino aprutino, ha uno stretto legame di somiglianza con le Dolomiti. Dolomiti e Gran Sasso sono inoltre accomunati dal modellamento glaciale, attivo a più riprese nel recente passato geologico (il Quaternario).

Il borgo di Poggio Picenze, edificato sulla sinistra  orografica della valle dell’Aterno - un lungo solco che si apre la strada verso la piana di Sulmona - ha una storia antica risalente al terzo sec A.C.. L'ampia vallata dell’Aterno è caratterizzata da dorsali(2) costituite da gradini montuosi e da depressioni allungate come corridoi, disposte lungo le direttrici tettoniche costituite da faglie inverse  e faglie dirette a direzione appenninica (NO-SE) congruenti l’asse del fiume stesso.

Principali responsabili della sismicità dell’area sono le faglie dirette(6); fratture della crosta terrestre che determinano l’abbassamento di determinati blocchi rocciosi rispetto ad altri. Sono faglie “recenti”, di età quaternaria (0- 1,6 milioni di anni) distribuite in tre “corridoi” o  “allineamenti” dell’Appennino centrale(6). Questi insiemi di faglie sono prodotti da forze che tendono ad  “estendere” il territorio normalmente alla direzione dei piani stessi. Ogni corridoio è costituito da diversi piani di faglia, a volte inclinati verso il Tirreno, a volte verso l’Adriatico, a formare depressioni tettoniche che i geologi chiamano ”Graben”. Queste faglie non si muovono mai all’unisono ma possono muoversi singolarmente, in determinati  spezzoni del “corridoio”.  Per questo motivo può avvenire un evento sismico in una località del “corridoio”, seguito magari, molto tempo dopo, da altri eventi sismici  in altre località del “corridoio”. Numerosi, difficilmente rilevabili e talvolta non comprensibili sono i parametri che determinano il “collasso” dei singoli blocchi geologici, scatenanti eventi sismici di potenza diversa; a volte disastrosi, a volte ben percepibili ma non dannosi. Dei tre corridoi (sismo)tettonici(6) che interessano l’Appennino centrale, quello ci riguarda più da vicino è quello intermedio(6) che interessa Poggio Picenze. Esso, partendo da Norcia sino Montereale, giunge infine alla conca di Sulmona(6) dando luogo, lungo il suo percorso, alla conca dell’Aquila e  alla valle dell’Aterno. In questo corridoio sismotettonico si sono prodotti  i bruschi movimenti tettonici (rottura improvvisa di masse rocciose sottoposte a stress) che recentemente hanno dato luogo a eventi sismici dannosi come quelli del settembre 1979 a Norcia, dell'aprile 2009 all'Aquila e dintorni. Nelle depressioni tettoniche("i corridoi"), in continua lenta subsidenza (abbassamento), si accumulano depositi continentali quaternari costituiti da alluvioni fluviali, lacustri e palustri, conoidi e falde detritiche di varia età (provenienti dai limitrofi rilievi), olocenici e pleistocenici.

Caratteristica che ha contraddistinto per secoli Poggio Picenze è la presenza sul territorio comunale di cave di un tipo di pietra calcarea chiamata “pietra bianca” per il suo colore o “pietra gentile” per la sua facile lavorabilità o più semplicemente “pietra di Poggio” (2). Ad essa fecero riferimento nei secoli passati maestri scalpellini e mastri cavatori citati in numerosi documenti ufficiali già a partire dal 1500(4). Attualmente le cave sono ferme, ma è in corso di definizione un progetto che prevede la ripresa delle attività estrattive (2). Nella valle dell’Aterno, la “pietra gentile”, è rappresentata dal litotipo “calcareniti a briozoi” e indicato nella carta geologica (foglio n° 359, l’Aquila) con la sigla”CBZ3”.

La "Pietra gentile " è presente esclusivamente nei monti d’Ocre e nella valle dell’Aterno con spessori variabili da 50 a 200 metri (2). Nei modesti rilievi presenti all’interno della valle dell’Aterno essa è direttamente sovrapposta al substrato cretacico (2). Trattasi di depositi carbonatici miocenici(2) di ambiente di piattaforma aperta - rampa carbonatica. Più specificatamente si tratterebbero di calcareniti a briozoi indicate sulla carta geologica con la sigla ”CBZ3” (2). Gli strati hanno spessori metrici. Il litotipo contiene abbondanti briozoi, amphistegine e frammenti di alghe melobesie (litotamni). Le microfaune sono rappresentate da foraminiferi bentonici (amphistegine, heterostegine ecc.) e da foraminiferi planctonici (Globigerinidi ecc.). Possono localmente essere presenti nummuliti eoceniche rielaborate (2). I macrofossili sono costituiti da abbondanti briozoi con associati frammenti di echinidi e bivalvi (2). Comuni i bivalvi come pectinidi flabelliformi del tipo Chlamis Scabrella e Pecten jacobaeus.

L’età è Miocenica superiore (Langhiano p.p.- Serravalliano, localmente Tortoniano p.p.(2)). E’ un periodo di tempo compreso tra i 10 e i 16 m.A. di anni fa.

Scavi manutentivi eseguiti vicino la casa del dott. Taddei Berardino (a seguito del sisma dell’aprile 2009) hanno portato alla luce pezzi di “pietra gentile” (foto) con macroscopiche evidenze di impronte di pectinidi (modello interno) di Pecten jacobaeus di dimensioni centimetriche.

Un campione di “pietra gentile” regalatami portava tracce di più piccoli pectinidi. All'aspetto grossolanamente granuloso della pietra corrisponde un rilascio polveroso bianco. Di facile lavorazione, questo calcare è suscettibile di buon pulimento ed è inoltre dotato di caratteristiche fisiche e meccaniche eccellenti; bassa gelività e resistenza all’usura (2). La durezza di questa pietra, che non viene rigata dalla calcite ma rigata dalla fluorite, la colloca in un intervallo di durezza compresa tra 3 e 4(su 10) della scala di Mohs. Trattasi dunque di  un  lapideo  da poco duro o mediamente semiduro.


Il recente terremoto in Abruzzo

A questa visita a Poggio, colpita duramente dal forte evento sismico del 6 Aprile 2009, insieme a tanti altri paesi del “cratere sismico”, come le vicine Onna e Paganica, non poteva mancare una visita alla città dell’Aquila, tanto colpita dal sisma che già in passato più volte l’aveva segnata. Situata all'interno di una conca sulle sponde del fiume Aterno a 721 metri di altezza, l'Aquila fu fondata da Federico di Svevia nel 1230, unendo, secondo la tradizione, 99 castelli.

Il centro storico dell’Aquila è stato devastato. Migliaia di abitazioni hanno subito danni (quasi 15.000). In buona parte sono inagibili e abbandonate. Campanili di chiese caduti, palazzi pubblici (per es. il palazzo della Prefettura) edifici scolastici, danneggiati ed inagibili. I più bei monumenti storici dell’Aquila hanno riportato, anche se in maniera differente, i segni del terremoto (il castello-fortezza spagnolo del XVI sec.).

Ricordo che oltre al devastante evento sismico dell'aprile 2009, altri eventi tellurici gravi segnarono l’Aquila nel 1461 e nel 1703 (4).Tra questi eventi devastanti se ne intercalarono diversi altri di minore intensità o, altrettanto devastanti, localizzati in altre vicine località della catena appenninica abruzzese (per esempio il terribile terremoto che colpì Avezzano e l'area fucense nel 1915).

Per la città dell'Aquila e dintorni, l’apporto solidale dell’Italia, riconosciuto e apprezzato da buona parte degli abruzzesi, è stato immediato. Vigili del fuoco, associazioni nazionali e internazionali, gruppi ambientali e di volontariato, aziende, comunità e singoli cittadini di tutta Italia, ma anche del mondo, hanno dato il loro contributo. Lo sforzo di messa in sicurezza degli edifici è stato enorme e rapido. Centinaia le case prefabbricate ricostruite dotate di confort moderni. Più volte gli abruzzesi mi hanno detto di essere grati agli italiani e all’attuale governo.

Due anni e mezzo sono ormai passati. Ci auguriamo che la politica, così intenta a scontrarsi con attacchi il più delle volte strumentali, non si dimentichi dell’Abruzzo. Gli abruzzesi mi hanno fatto capire che per compiere l’enorme sforzo di ricostruzione necessiterebbe meno politica e meno burocrazia. Solo uomini di buona volontà.

 

Ma la vita continua…


Ho potuto apprezzare - grazie alla figlia di Berardino, Anna Maria - la bellezza della "fontana delle 99 cannelle". La fontana progettata nel 1272 dall'architetto Tancredi da Pentima e collocata in località Rivera si avvale di una ricca sorgente d'acqua locale. Questo monumento, simbolo delle innumerevoli rinascite di un’ Aquila frequentemente martoriata dagli eventi naturali, è già stato restaurato. Gli aquilani e gli abruzzesi, cui va la mia ammirazione, hanno ripreso le loro attività con alacrità, come sempre, guardando avanti.

Il 14 di settembre ho avuto il piacere di conoscere nella sua “Antica Pasticceria” di piazza Duomo in centro dell’Aquila, l’energico signor Nurzia. Imprenditore coraggioso, per nulla intimorito, ha voluto salvare la propria attività riaprendo l’antico negozio segnato da crepe nelle colonne e nelle volte affrescate.

Non posso non ricordare, tra gli innumerevoli prodotti agroalimentari tradizionali di qualità dell’Abruzzo, lo  Zafferano dell’Aquila, il centerba, gli arrosticini, i confetti di Sulmona, gli amaretti di Poggio Picenze, il  Torrone tenero al cioccolato aquilano Nurzia.


 

 

Glossarietto

ambiente di piattaforma(carbonatica) aperta - rampa carbonatica: terminologia che descrive l’ambiente di deposizione marino dei sedimenti carbonatici che poi litificandosi hanno dato origine alla ”pietra bianca”. Le piattaforme carbonatiche sono altofondi marini sui quali s'instaurano condizioni di crescita per organismi viventi, attività biologica e sedimentazione. Si dicono piattaforme carbonatiche aperte quelle piattaforma che hanno il mare aperto di fronte a loro e in cui manca un orlo elevato esterno (come una barriera corallina). Eventuali mareggiate possono interessare tutta la piattaforma e rielaborare i sedimenti deposti. Le piattaforme carbonatiche degradano verso il mare profondo (bacino) tramite superfici debolmente inclinate chiamate rampe carbonatiche. La definizione indica comunque un ambiente deposizionale ad alta energia vicino alla costa che gradualmente fa transizione a depositi di più bassa energia.

briozoi: animali invertebrati acquatici marini di piccole dimensioni che vivono in colonie ancorati ad un substrato roccioso.

calcareniti e calciruditi: rocce sedimentarie costituite da frammenti di carbonato avente origine organica (bio) o da rocce calcaree preesistenti. In base alla granulometria si denominano calciruditi depositi con granuli superiori ai 2 mm. Calcareniti se le dimensioni dei granuli sono comprese tra 1/16 di mm ei 2 mm. di diametro. Il cemento è generalmente calcareo.  

direttrici tettoniche: orientamento dei piani di faglia e dei complessi rocciosi deformati dalla genesi dei rilievi montuosi.

echinidi: ricci di mare

foraminiferi: microorganismi dotati di un guscio calcareo (da 100 micron al mm.). Possono essere bentonici (vivono nei fondali marini) che planctonici (galleggianti). Il loro studio al microscopio permette datazioni precise dell’età delle rocce che li contengono (fossili guida). Talvolta sono talmente abbondanti che i loro gusci formano imponenti spessori di rocce.

Litotamni: genere di alga calcarea incrostante della famiglia delle corallinacee.

nummuliti: sono microrganismi del genere dei (macro)foraminiferi.  Sono ben visibili a occhio nudo. Alcune specie possono arrivare sino 10 cm. di diametro. Hanno un guscio calcareo. Anche questi sono fossili guida. La loro forma tondeggiante (in sezione equatoriale) ne ha determinato il nome: (dal latino nummulus= monetina, nummulite=monetina di pietra).

pectinidi flabelliformi: lamellibranchi bivalvi la cui forma ricorda il ventaglio


Riferimenti bibliografici

(1) Adamoli L., 2002 IL GIGANTE DI PIETRA. La  storia geologica del Gran Sasso d’Italia. Carsa Edizioni, via Salaria Vecchia 1. Pescara

(2) APAT(Servizio Geologico d’Italia), 2006. NOTE ILLUSTRATIVE DELLA CARTA GEOLOGICA D’ITALIA alla scala 1:50.000. Foglio 359 L’AQUILA. Ente realizzatore: Regione Abruzzo. Stampa S.EL.CA. s.r.l., Firenze

(3) Bosellini A., 2005 – STORIA GEOLOGICA D’ITALIA. Gli ultimi 200 milioni di anni. Zanichelli Editore. Bologna

(4) Colapietra R., 2002 - PER UNA STORIA DI POGGIO PICENZE IN ETA’ MODERNA. Deputazione Abruzzese di Storia Patria. Edizione Libreria Colacchi

(5) http://www.comunepoggiopicenze.it/

(6)Società Geologica Italiana., 2003 – ABRUZZO; Guide Geologiche Regionali. BE-MA editrice. Milano

 

Pessina Camillo M. (geologo)                                        Dalmine (Bg.)  25 settembre 2011